Molise e referendum: il PCL sogna la rivoluzione. Peccato sia il 2025 All’indomani del flop sul referendum riceviamo e pubblichiamo una nota del PCL Molise, a cui facciamo di seguito un nostro commento.

11 Giugno 2025 2 Di

 

(PressMoliLaz.) – V.G. – Isernia,11 Giu. 25   Riportiamo il comunicato integrale pervenuto dal PCL Molise a firma del suo segretario, il comunista radicale, Tiziano Di Clemente

MOLISE, ESITO REFERENDARIO ED ESIGENZE DI SVOLTA. LA DESTRA, ANCHE NEL MOLISE, SI INTESTA ABUSIVAMENTE L’ASTENSIONE.

Il 26% dell’elettorato molisano che ha votato SI sui temi del lavoro (e il 29% che si è recato comunque a votare) si pongono leggermente al di sotto del dato nazionale, a riprova che il Molise (più in provincia di Isernia) esprime quella maggiore passivizzazione particolarmente concentrata nel Meridione, nei piccoli centri, nella provincia profonda, in linea generale, il principale bacino della destra, a differenza delle grandi città.

Tuttavia non è un dato in sé irrilevante nel Molise, come non lo sono, sul piano nazionale, i 12 milioni di “sì” né lo è il 30% di partecipazione al voto, tanto più a fronte dell’esclusione dal referendum, per decisione della Consulta, dell’Autonomia differenziata, il che ha sicuramente ridimensionato l’afflusso al voto in particolare nel Sud come nel Molise (ma non solo).

La destra anche nel Molise con la sua falsa propaganda cerca di intestarsi abusivamente l’astensione ma i fatti dicono il contrario, rispetto al corpo elettorale:

  • nel Molise i 49.378 votanti (29%) e i 44.159 voti al SI (26% ) sui temi del lavoro rappresentano molto di più dei voti presi in Molise da FDI-Meloni (11%) e anche della coalizione di destra (23%);

  • a livello nazionale, a fronte del 30% dei voti e del 27% di SI sui temi del lavoro, abbiamo FDI Meloni al 15% e la coalizione di destra al 26%.

Solo grazie alle leggi truffa maggioritarie abbiamo in parlamento il 100% della destra per il Molise, e la maggioranza di Meloni per il governo, altrimenti (col sistema democratico-proporzionale) non possibili.

Sul quesito per la cittadinanza ci sono delle particolarità: il 36% nel Molise e il 35% in Italia, per il “no” (quasi 5 milioni di voti) riflette la perdurante influenza di posizioni e pregiudizi reazionari sul tema dell’immigrazione all’interno della stessa base elettorale del centrosinistra, un po’ di più nel Molise.

Un riflesso non solo della presa della destra sul senso comune di ampi settori popolari ma anche delle politiche del centrosinistra.

Nel complesso, i blocchi elettorali e i relativi rapporti di forza appaiono sostanzialmente intatti nel Molise come in Italia. Nel mentre la passivizzazione, anche nel Molise, della maggioranza delle masse lavoratrici e popolari, combinata con l’influenza delle destre nelle loro file, è il prodotto di una lunga stagione di subalternità e di compromissione alle politiche filo padronali del centrosinistra, sempre ovviamente peggiorate dalle destre.

La stessa storia delle campagne referendarie dimostra che i risultati vincenti sono sempre nate sullo sfondo delle grandi mobilitazioni più generali (divorzio, interruzione gravidanza, acqua pubblica).

Come dice Landini occorre ripartire dai milioni di “sì”. Ma in che modo e per andare dove?

Ciò che serve è l’apertura di una vertenza generale vera, che rompa gli argini della “pace sociale” e punti ad unificare realmente sul terreno della lotta i 18 milioni di salariati, e attorno a essi un più vasto blocco sociale alternativo. Anche nel Molise occorre lavorare dentro questa prospettiva generale.

Altrimenti non si sviluppa la coscienza della classe, non si scuote l’indifferenza, la passività, la demoralizzazione. Tanto meno si disgrega il nefasto blocco sociale della destra.

Va costruito un partito indipendente della classe lavoratrice tanto radicale quanto sanno essere i partiti padronali a difesa della loro classe.

Un partito che riconduca ogni battaglia immediata alla prospettiva di un’alternativa di società, nella quale a comandare siano i lavoratori e non i capitalisti. Un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, unica vera alternativa.

Nostro Commento : I lavoratori al comando? Quando l’ideologia ignora la realtà

Diamo atto al PCL di una cosa: la coerenza. È sempre quello che sogna una rivoluzione socialista in un mondo dove le fabbriche ormai le costruiscono le multinazionali con l’intelligenza artificiale, e il “proletariato” si divide tra chi lavora su Amazon e chi fa il freelance da casa. Ma insomma, vediamo dove cade il castello di carte ideologico.

1. L’astensione come terreno di guerra

Secondo il PCL, la destra si appropria “abusivamente” dell’astensione. Come se fosse una proprietà privata. Ma no, quella è solo del capitalismo! La verità è che l’astensione è spesso semplice rassegnazione, delusione generalizzata, o menefreghismo. Non è un segnale politico per nessuno, né tantomeno per chi prende lo zero virgola alle elezioni.

2. I numeri tirati per la giacchetta

Quando il PCL dice: “i voti al Sì sono più di quelli a FDI nel Molise”, ci fa pensare a uno studente che dice “ho preso più della media in matematica, quindi sono un genio”. I referendum non sono elezioni, e le motivazioni dietro un Sì possono essere mille. Tirare somme rivoluzionarie da dati parziali è un esercizio di fantasia, non di scienza politica.

3. Il nemico è sempre lo stesso: i padroni

Il comunicato fa il solito ritratto caricaturale del “capitalista sfruttatore”. Peccato che, nel mondo reale, l’imprenditore sia spesso una persona che rischia il proprio capitale, lavora più dei suoi dipendenti, si indebita, fallisce, riparte. È facile dire “dovrebbero comandare i lavoratori” quando non si ha mai provato a tenere in piedi una piccola impresa, tra tasse, burocrazia e mercato globale.

4. Governo dei lavoratori: ma esattamente chi lo gestisce?

Quando il PCL invoca “il governo dei lavoratori”, evita accuratamente di dire come funzionerebbe. Decisioni a maggioranza? Per alzata di mano in fabbrica? Oppure eleggiamo dei dirigenti (ops! Capitalismo politico)? Chi coordina le risorse? Chi decide la strategia d’impresa? E soprattutto: chi si assume la responsabilità se le cose vanno male?

5. La nostalgia del ’900

Il PCL sogna ancora la rivoluzione, i blocchi sociali alternativi, le masse in lotta. Ma il 2025 non è il 1917. Il mondo è globalizzato, il lavoro è frammentato, le lotte sono complesse. L’idea che esista una “classe lavoratrice unita” da mobilitare con un partito rivoluzionario è una visione romantica, ma completamente scollegata dalla società reale.

Conclusione

Il comunicato del PCL è una cartolina da un mondo che non c’è più, anzi: forse non è mai esistito come loro lo raccontano. L’idea che si possa realizzare un “governo dei lavoratori” dove non esiste capitale privato, non c’è rischio d’impresa, e tutto funzioni per il bene collettivo è affascinante… come lo è una fiaba. Ma chi vive nel mondo reale sa che senza imprenditori, investimenti e competenze manageriali, non c’è neppure lavoro da distribuire.

E no, non ci sarà mai una società dove i lavoratori comandano e le plutocrazie scompaiono. Perché chi comanda è chi prende decisioni, si assume rischi, crea valore. Il resto è retorica da assemblea liceale – magari appassionata, ma fuori corso da decenni.